In una gabbia - Lo sto davvero facendo per me?

Perché quando riesco a raggiungere un obiettivo e penso di essere soddisfatto del risultato raggiunto, dopo poco tempo sento che in realtà non è così?

Perché è importante che meno persone possibili sappiano cosa sto provando e vivendo in questo momento, che sappiano come sono realmente e perché questo modo di pensare mi porta a ritirarmi ed isolarmi?

Perché tendo sempre ad allontanarmi o ad allontanare le persone che penso mi capiscano più delle altre?

 

Tre domande che alla maggior parte delle persone forse non trasmettono niente, ma che ultimamente mi vengono poste frequentemente, alle quali proverò a dare delle risposte e a correlare queste ultime ai problemi fisici che ricorrenti colpiscono chi queste domande se le pone o che magari vorrebbe.

La prima cosa da fare è differenziare chi ha un breve tempo di soddisfazione (ore o addirittura minuti) da chi invece ha una finta soddisfazione di fondo quando raggiunge un obiettivo.

Nel primo caso il problema principale è legato al pensare di poter fare sempre meglio e che c’è sicuramente qualcosa da migliorare nel momento in cui concludo un lavoro o una situazione.

Sensazione legata alla continua ricerca della perfezione, modalità di pensiero che non permette di godere a pieno della fase di riposo e decompressione della situazione, derivante soprattutto dalla mancata conoscenza degli step di svolgimento della situazione stessa.

 

Questa riflessione vuole trattare invece di chi, nel momento dell’illusorio “sono arrivato dove volevo”, riesce a gode delle gratifiche ricevute anche per molti giorni, ma poi “sente”, soprattutto a livello fisico, che qualcosa non torna, senza però riuscire a vedere e capire la causa di questa insoddisfazione.

Partiamo da lontano, forse un po’ troppo lontano:

  • Se non fai così, la mamma o il papà non sono felici…
  • Se vai a giocare prima di finire i compiti, stasera niente dolce…
  • Se ti comporti così, se ti vesti così, sembri una “ragazza facile”…

E tante altre frasi simile a seconda delle diverse situazioni passate.

Tutte frasi che fanno crescere nei bambini la sensazione di dover per forza sottostare ai ricatti dei grandi perché, nel caso non lo facessero, non riuscirebbero a fare mai niente di giusto e non verrebbero apprezzati.

 

Ma visto che i bambini non vogliono fare del male alle persone a cui tengono, ripetendo questo comportamento arriveranno col tempo a sostituire quello che dà loro piacere con quello che dà piacere alla persona che compie questi “ricatti morali”.

Diventeranno così bravi in questo transfer emozionale che, col passare del tempo, le persone a cui vogliono bene non dovranno neanche parlare perché i bambini, ormai diventati ragazzi, sapranno analizzare così bene i loro comportamenti che riusciranno ad anticipare le loro mosse.

Questo fino a toccare l’apice, o il fondo a seconda dei punti di vista, nel momento in cui sostituiranno inconsciamente il loro modo di vivere con quello del ricattatore, ricercando poi questo modo di fare in tutti i rapporti importanti che allacceranno, rapporti che in realtà loro potrebbero anche non volere, ma di cui non possono fare a meno.
E a questo punto, le scelte saranno fatte per quello che i genitori, la maestra, il fratello o la nonna richiedevano perché giusti per loro.
Scegliendo quindi per le necessità di un’altra persona, godranno solo nei momenti in cui l’altra persona sarà felice delle scelte che praticamente vengono fatte per loro, scelte che però non hanno nulla a che vedere col proprio modo di vedere e vivere il piacere.

Il problema sorge quindi in tempi passati, ma si manifesta nel momento in cui l’istinto del soggetto inizia a riconoscere le proprie necessità, quando il sue vero essere inizia a bussare alla porta.
A questo punto il gioco è facile per il bambino/ragazzo.
Dovrò “imparare” ad analizzare i comportamenti delle persone che ho intorno per poi adattare/cambiare il mio modo di vedere le cose facendolo assomigliare al loro, non per raccogliere consensi ma al solo scopo di sopravvivere senza essere ricattato un’altra volta.
Meno persone sanno chi sono veramente, meno persone sanno cosa mi piace, cosa mi diverte, conoscono le mie reali necessità e meno rischi correrò di essere richiamato e ricattato.
Perché far sapere agli altri chi sono se a questi non andrò bene comunque e visto che poi useranno quello che mi fa stare bene per farmi sentire inadatto, imponendomi il loro giusto e cercando di rinchiudermi nella gabbia della proiezione della loro persona perfetta?
Meglio che lo faccia prima io, almeno eviterò di dover sottostare ad ulteriori baratti non voluti, perché da piccolo, se volevo qualcosa dovevo dare in cambio altro e spesso questa contropartita era il non essere me stesso.
Questo però mi porterà a fermarmi a pensare spesso per cercare di capire fino in fondo, credendo di pensare a cosa devo fare, per arrivare al “cosa c’è che non va”.
Ma anche qui, il mio pensiero difficilmente sarà concentrato sul vero problema.
Difficilmente mi farò la domanda giusta… “ma lo voglio veramente o lo vuole qualcun altro?”

Tutto questo “casino” andrà avanti senza problemi, o con molti non visti, fino a quando Per Caso, non arriverà una situazione dove gli interlocutori non avranno bisogno di quello che faccio abitualmente, non avranno necessità che io mi adatti ai loro desideri.
Tanta l’abitudine a fare quello che non è mio credendo il contrario, che nel momento in cui potrei avere la libertà che vado ricercando e che mi permetterebbe di fare le scelte per me stesso, per abitudini sbagliate e per una mancata capacità di gestione, tenderò a fuggire o ad allontanare queste persone.

Sindrome del colon irritabile (legata ai sensi di colpa nel non pensare alle proprie necessità), stipsi (legata al trattenersi e al non voler mostrare quello che si è realmente), attacchi di panico (il sentirsi rinchiuso in una gabbia, la gabbia del comportamento imposto da altri), problemi di mobilità degli arti superiori con partenza del dolore dalla zona sottoscapolare (riferito al passato, alle coltellate che mi hanno dato, lato destro se la causa del ricatto è una figura femminile e sinistro se è maschile) tutte le sintomatologie legate al piacere (perché rinuncio a quello che mi fa stare bene) come anorgasmia, difficoltà nella prima erezioni o perdita del desiderio, possono derivare da questo modo di pensare e di non vivere.
Frequenti attacchi di emicrania, candidosi, cistiti, blocchi a livello lombare posso essere invece problemi che si affiancano a quelli precedenti.
Questo fino a quando, con molta fatica, non ricomincerò a scegliere per me stesso, a capire ed accettare che se mi voglio bene, posso accettare anche gli errori che faccio e che, se mi accetto io per quello che sono, può farlo anche chi mi vuole veramente bene.

Solo teorie, solo punti di vista, ma a qualcuno potrebbe anche interessare.
Buona vita e alla prossima.